IL PRETORE
    Letti   gli   atti   del  procedimento  ed  attese  le  risultanze
 dibattimentali;
                             O S S E R V A
    Il  presente  procedimento vede Girardi Giacomo imputato del reato
 previsto dall'art. 26 del d.P.R.  10  settembre  1982,  n.  915,  per
 avere,  in  qualita'  di legale rappresentante della ditta "Ceramiche
 Girardi S.p.a.", tenuto in  stoccaggio  provvisorio  presso  la  sede
 dello   stabilimento  rifiuti  tossici  e  nocivi  provenienti  dalle
 lavorazioni ivi eseguite e dall'impianto di  abbattimento  dei  fumi,
 senza avere ottenuto l'autorizzazione regionale.
    L'obbligo   di   tale  autorizzazione  e'  espressamente  previsto
 dall'art. 16 del d.P.R. n. 915/1982 che  individua  nello  stoccaggio
 provvisorio  una  delle  fasi  di  smaltimento  dei rifiuti tossici e
 nocivi  e,  oltre  a  subordinare  il  rilascio   dell'autorizzazione
 all'accertamento,  tra  l'altro,  della "rispondenza del sito e delle
 annesse attrezzature ai requisiti tecnici prescritti", prevede che il
 provvedimento  deve  specificare  i tipi ed i quantitativi massimi di
 rifiuti stoccabili.
    La   legge   statale   detta   dunque   una   disciplina  puntuale
 dell'autorizzazione che, a norma dell'art. 6, lett.  d)  deve  essere
 rilasciata dalla regione interessata, senza distinguere in alcun modo
 tra  lo  stoccaggio  provvisorio   effettuato   direttamente   presso
 l'azienda  che  produce  i  rifiuti  e quello effettuato altrove o da
 terzi.
    D'altra  parte  non  pare che una tale distinzione possa valutarsi
 conforme  alle  esigenze  di   tutela   della   salute   pubblica   e
 dell'integrita'  del  territorio  cui e' preordinata la disciplina in
 materia di smaltimento dei rifiuti;  lo  stoccaggio  provvisorio  dei
 rifiuti tossici o nocivi non assume diversa e minore pericolosita' se
 eseguito presso  lo  stabilimento  da  cui  provengono  quei  rifiuti
 anziche' in un luogo diverso.
    La  intrinseca  omogeneita'  delle  due  forme di stoccaggio trova
 conferma nella normativa contenuta nella deliberazione 27 luglio 1984
 del  comitato  interministeriale  previsto  dall'art. 5 del d.P.R. n.
 915/1982 (pubblicata in supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale
 n. 253 del 13 settembre 1984), che detta le disposizioni per la prima
 applicazione dell'art. 4 del decreto.
    Ampia  parte  della  delibera  e'  dedicata  allo  smaltimento dei
 rifiuti tossici e nocivi e nulla in essa autorizza a pensare  che  il
 legislatore  statale  abbia  voluto differenziare la disciplina dello
 stoccaggio provvisorio nel senso prima  precisato;  il  contrario  si
 desume  anzi  dalla disposizione del punto 2.3 della delibera, che e'
 l'unico  a  parlare  di  smaltimento  di  rifiuti  tossici  e  nocivi
 all'interno  dello  stabilimento  in cui sono prodotti, per precisare
 che "ai fini dell'applicazione delle disposizioni  dell'art.  18  del
 decreto  del  Presidente  della  Repubblica n. 915/1982 (che detta la
 disciplina dei documenti per il trasporto)  e  dei  criteri  e  norme
 tecniche  indicate  nel  presente provvedimento, non sono considerate
 trasporto le operazioni di movimentazione di rifiuti tossici e nocivi
 effettuate  all'interno  degli  stabilimenti  nei  quali  essi  hanno
 origine  o  dove  si  effettua  il   loro   trattamento,   stoccaggio
 provvisorio o stoccaggio definitivo".
    L'unica deroga che concerne lo smaltimento dei rifiuti all'interno
 dello  stabilimento  di  produzione  attiene  dunque  alla  fase  del
 trasporto  e  nulla si dice quanto allo stoccaggio temporaneo, che in
 base alla disciplina statale deve intendersi in ogni caso soggetto ad
 autorizzazione.
    In  materia  e' poi intervenuta la normativa emanata dalle regioni
 al fine di coordinare ed attuare le rispettive competenze.
    La  regione  Friuli-Venezia Giulia ha emanato la legge regionale 5
 aprile 1985, n. 19, che, all'art. 14, primo  comma,  ribadiva,  senza
 alcuna  eccezione che "le attivita'. . . di stoccaggio provvisorio. .
 . dei rifiuti  tossici  e  nocivi  sono  soggette  ad  autorizzazione
 regionale".
    La  norma pero', unitamente all'intera legge regionale n. 19/1985,
 e' stata abrogata dalla legge regionale 7 settembre 1987, n.  30,  il
 cui  art.  15,  quinto  comma,  prevede  una eccezione all'obbligo di
 autorizzazione per "l'ammasso temporaneo dei rifiuti tossici e nocivi
 effettuato  dalle  imprese  nel corso dei rispettivi cicli produttivi
 all'interno degli stabilimenti di produzione,  quando  sia  contenuto
 nei limiti quantitativi fissati da apposito regolamento".
    Per  "ammasso  temporaneo" non puo' certamente intendersi qualcosa
 di diverso dallo "stoccaggio provvisorio".
    Non  pare  significativa  la  specificazione che tale ammasso deve
 avvenire nel corso dei cicli produttivi, visto che, se  con  cio'  si
 intende  che  i  rifiuti  tossici  e  nocivi  prodotti  da  un  ciclo
 produttivo sono destinati all'impiego immediato in un  diverso  ciclo
 produttivo,  non  per  questo  viene  meno  la  loro  pericolosita' e
 sussiste quindi la necessita' di adottare le medesime cautele  e  gli
 stessi accorgimenti tecnici previsti per lo stoccaggio provvisorio di
 rifiuti destinati a venire smaltiti come tali.
    L'unico  presupposto  della  prevista  deroga  alla  necessita' di
 autorizzazione  e'  quindi  il  rispetto  del   limite   quantitativo
 stabilito  dall'apposito  regolamento; l'identita' di significato tra
 "ammasso   temporaneo"   e   "stoccaggio   provvisorio"   si   ricava
 implicitamente dalla stessa legge regionale che non menziona affatto,
 tra le fasi di smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi  soggette  ad
 autorizzazione,  l'ammasso  temporaneo  di  quantitativi  di  rifiuti
 superiori ai limiti del regolamento, sicche', non  essendo  possibile
 che  anche  in  questo caso non sia necessaria l'autorizzazione (che'
 altrimenti l'intera norma cosi' come formulata, non  avrebbe  senso),
 ne  deriva  che  tale  "ammasso"  e' ricompreso tra le altre forme di
 stoccaggio provvisorio.
    Questa  eccezione  al generale obbligo di specifica autorizzazione
 per ogni singola fase di trattamento dei rifiuti  tossici  o  nocivi,
 oltre  a  non  essere  fondata su alcuna ragione logica, contrasta, a
 parere del giudicante, con le norme costituzionali  che  regolano  la
 potesta' legislativa regionale.
    La  materia dello smaltimento dei rifiuti non rientra in alcuna di
 quelle per le  quali  e'  riconosciuta  alla  regione  Friuli-Venezia
 Giulia  una  potesta'  legislativa esclusiva o concorrente con quella
 statale.
    Pare  infatti  riduttivo  e  non  conforme alla rilevanza che tale
 campo di intervento dai pubblici poteri ha assunto negli ultimi  anni
 ritenerla   compresa  nella  materia  della  sanita'  pubblica,  pure
 essendovi connessa in relazione a talune delle  finalita'  perseguite
 dal  legislatore  (ma,  in  ogni  caso, le conclusioni in ordine alla
 invasione  di  competenze  normative   riservate   allo   Stato   non
 muterebbero).
    La   legge   regionale   puo'   dunque  dettare  unicamente  norme
 integrative e di attuazione di quella statale, ai sensi  dell'art.  6
 ultimo  comma  della  legge  costituzionale  31  gennaio  1963, n. 1,
 recante lo statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia.
    Come  e'  noto, tale competenza legislativa non solamente trova un
 limite nei principi ricavabili dalla  legislazione  statale,  ma  non
 puo'  porsi  in  contrasto neppure con le singole norme di dettaglio,
 cui puo' al piu'  derogare  al  fine  di  adeguare  alle  particolari
 esigenze della regione le disposizioni delle leggi dello Stato.
    Sicuramente  non  e'  sostenibile  che  l'esonero  dall'obbligo di
 autorizzazione per quello che viene definito "ammasso temporaneo" sia
 giustificato  all'interno  della  regione Friuli-Venezia Giulia e non
 sul resto del territorio nazionale.
    Di  piu':  tale  esonero  contrasta  con  i  limiti costituzionali
 imposti alle leggi regionali in quanto viene ad incidere  sull'ambito
 di applicabilita' di una norma penale.
    La  esistenza  di  un  limite  all'autonomia legislativa regionale
 implicitamente stabilito dalla Costituzione (e dagli statuti speciali
 adottati  con legge costituzionale) in relazione alle norme penali e'
 stata ribadita  ripetutamente  dalla  Corte  costituzionale,  che  ha
 escluso  tanto  che  le  regioni possano introdurre con leggi proprie
 nuove sanzioni penali (sentt. 26 gennaio 1957, nn. 21 e 23, 8  luglio
 1957, n. 107, 22 novembre 1962, n. 90 ed altre) come pure che possano
 rendere lecito cio' che per la legge dello Stato non lo e' (sentt. 17
 maggio 1961, n. 23, e 12 maggio 1977, n. 79).
    Cio'  e'  appunto  quanto  ha  fatto,  a parere del giudicante, la
 regione Friuli-Venezia Giulia con l'art. 15 della legge  regionale  7
 settembre   1987,   n.  30,  sicche'  il  dubbio  sulla  legittimita'
 costituzionale di tale disposizione e' tutt'altro che  manifestamente
 infondato.
    Una   eventuale   dichiarazione  di  illegittimita'  della  norma,
 inoltre, e' decisiva sull'esito del procedimento penale in corso.
    Il   fatto   ascritto  al  Girardi  e',  nella  sua  materialita',
 incontestato e rientra nell'ipotesi  prevista  dall'art.  15,  quinto
 comma,  come  confermato  dal  fatto  che  la  iniziale  richiesta di
 autorizzazione allo stoccaggio  provvisorio  presentata  dalla  ditta
 alla   regione,  anche  se  molto  dopo  l'inizio  dell'attivita'  di
 stoccaggio, e' stata sostituita, dopo  la  entrata  in  vigore  della
 legge  regionale n. 30/1987 con una denuncia di ammasso temporaneo di
 rifiuti da reimpiegare nel ciclo produttivo.
    Pertanto,   pur   essendo  la  norma  sospetta  di  illegittimita'
 contenuta in una legge posteriore alla commissione  del  reato,  essa
 dovrebbe  trovare applicazione ai sensi del secondo comma dell'art. 2
 del codice penale in  quanto  norma  di  favor  rei  ed  il  processo
 dovrebbe  concludersi  con la piena assoluzione dell'imputato perche'
 il fatto non e' (piu') previsto dalla legge come reato.
    Diversamente,  una  dichiarazione di illegittimita' costituzionale
 della norma lascerebbe integra la possibilita' di affermare la penale
 responsabilita'  del  prevenuto,  rientrando il fatto da lui commesso
 nella fattispecie tipica dell'art. 26 del  d.P.R.  n.  915/1982,  non
 piu' derogato da alcuna disposizione speciale.